Provincia di Pechino, temperatura vicina a quella della superficie del Sole, umidità livello Miss Maglietta Bagnata 1997, 6 lontanissimi anni fa.
Arriviamo ai piedi di una delle montagne sulla cui cresta si srotola la Grande Muraglia Cinese. Ci arriviamo in bus: noi, sei italiani, insieme a 54 turisti cinesi che, per tutto il viaggio, ci scattano foto di nascosto, mentre ridono di noi.
Ci sono varie modalità disponibili per salire alla Muraglia:
1) Con una comodissima funivia
2) Con una comunque comoda seggiovia
3) A piedi scalando centinaia di gradini nella giungla
Ci guardiamo negli occhi e siamo tutti d’accordo, “Prendiamo la funi…” “FACCIAMO LE SCALE”.
“Ok…”
In questo momento sono in difficoltà perché devo trovare il modo di raccontare quanto è stato faticoso, devastante e sudato salire quei maledetti gradini di pietra. Sono in difficoltà perché vorrei che un minimo si percepisse il disagio, la morte dell’anima che è stato salire a piedi sulla Grande Muraglia.
Innanzitutto, i gradini non sono tutti uguali. A volte sono più alti di quanto ci si aspetti possa essere alto un gradino. Altre volte il contrario: gradini talmente bassi, vicini, ripetutamente vicini, che ti costringono a imparare un nuovo modo di camminare. Unica alternativa fingere uno svenimento, farsi recuperare da un elicottero e venire insultati per anni dai propri amici e dalla propria compagna perché “è colpa tua se non abbiamo visto e non vedremo MAI una delle sette meraviglie del mondo, stronzo”.
Immaginate poi che questo sentiero di gradini era anche stretto, quindi non potevi fare grandi pause che subito quelli dietro ti lanciavano insulti pur di convincerti a proseguire nella via crucis.
E immaginate di fare tutto questo con un caldo umido che io non ho mai più provato in vita mia. Cucinato al vapore in Cina, praticamente. Un Won Ton con piccole gambe e braccia che si inerpica nella boscaglia.
Non ricordo quanto sia durata la salita.
O meglio. Io me lo ricordo, ma non credo che questo ricordo corrisponda alla realtà dei fatti. Perché per me quella salita è durata ore, giorni, mesi. È come quando in Interstellar, Cooper è sul pianeta di Miller, quello ricoperto d’acqua, e ogni secondo trascorso lì corrisponde a un giorno intero sulla Terra. Ecco, se nella realtà (il pianeta di Miller) quella salita è durata un’ora, nella mia testa e nei miei ricordi (la Terra) quella salita è durata troppo.
Forse non è mai finita e io sono ancora lì, a imprecare passo dopo passo. Forse per salvarmi dalla follia ho creato un mondo immaginario, totalmente falso, in cui la mia mente vive attualmente, inconsapevole. E gli ultimi sei anni non sono mai realmente esistiti, ma sono stati partoriti dal mio cervello per difendere la mia integrità mentale e fisica, come ultimo slancio del mio istinto di sopravvivenza.
Ma non divaghiamo.
Dopo l’interminabile salita e dopo quattordici apparizioni di Maria di Nazareth, la meravigliosa visione: uno spettacolo indimenticabile, indescrivibile, sublime. L’apoteosi della bellezza, della delizia, dell’incanto. L’estasi assoluta, unica, finale.
Un baretto di legno con una dozzina di sedie in plastica adagiate su un terrazzino pericolante due metri sotto la Muraglia, un piccolo frigorifero e un grande logo adesivo: TSINGTAO.
Mentre il resto del gruppo (non ho mai capito grazie a quali energie, a quale forza mentale, a quale equilibrio spirituale) ha deciso di proseguire, io e Alice ci siamo ovviamente fermati e abbiamo ordinato due birre ghiacciate, in bottiglia. Bottiglie che hanno cominciato a emettere fumo una volta a contatto con l’aria irrespirabile fuori dal frigo. E ce le siamo scolate.
Quel liquido dorato, leggermente frizzante, leggerissimamente amaro, splendidamente buono, ha rinvigorito ogni centimetro dei nostri corpi, ha riempito i nostri polmoni di ossigeno e ci ha spinto a fare gli ultimi dieci gradini per ammirare uno dei luoghi più magici che abbia mai visto: la grande, meravigliosa, fottutissima Muraglia Cinese.
È davvero una delle “Meraviglie” del mondo.
Vi prego, andate a vederla, se potete.
E fate le scale.